ANCORA NEVE IN CITTA'
Ha nevicato di nuovo, stanotte, e stamattina, un tuffo al cuore.
Esco a metà pomeriggio, dopo aver assolto ai tediosi compiti del sabato mattina e obbedisco al consueto richiamo che mi porta verso Straccis. Non c’è nulla da fare: potrei andare altrove, in una qualunque altra zona di questa città, che conserva atmosfere di inizio secolo di nobile asburgica decaduta. Mi piacciono i suoi edifici decorosi, le palme nei giardini, quel po’ di decadenza malinconica e i rosai sfioriti dell’inverno. Ma le gambe vanno a nord, verso quell’anonimo incrocio tra Via Brigata Casale e Via Brigata Pavia, dove inizia il "ghetto".
Appena imbocco la breve discesa verso Viale Colombo, compaiono le alture del Calvario, dove la neve svela terrazzamenti e brevi radure, altrimenti invisibili. Il cielo è spugnato di cenere compatta e le acacie velate da un flou nebbioso che accartoccia il cuore. I miasmi del Corno prendono la gola e Viale Colombo è deserto. Squallidi edifici color ocra, ruggine e pistacchio, costruiti negli anni cinquanta per gli operai in tuta blu macchiata di grasso, dove sorgeva un altro villaggio di segregazione per i duemila operai delle manifatture Ritter.
Sento odore di anni Cinquanta, di latterie con la carta moschicida appesa al soffitto e lambrette parcheggiate sotto casa. Non so perchè, ma qui mi sento a casa. Dentro alle verande dei condomini polverosi e mal invecchiati ci sono ragni di ferro battuto e medaglioni in ceramica con l’effige del Papa Buono. Non ci sono più operai in tuta blu e mogli con le vestaglie da casa. Oggi il ghetto accoglie famiglie magrebine e nigeriani che il giorno inghiotte in qualche fabbrica del manzanese, o spedisce lungo le strade con un borsone sulle spalle a smerciare biancheria e fazzoletti di carta.
A poche centinaia di metri, le villette unifamiliari degli anni sessanta segnano la fine del "ghetto". Ricompaiono i giardini e le ville borghesi di inizio novecento della Gorizia dignitosa e sonnolenta che sopravvive a se stessa.
La coltre bianca è diventata una glassa sporca e scivolosa e piovono tristi succedanei di neve.
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