E' trascorsa una settimana, un'intera settimana sulle Dolomiti di Sesto.
Sono fuggita presto dalle affollate piste da sci, complici il costo proibitivo dello skipass e la mia fame di solitudine.
Lunedì è una giornata perfetta per cominciare: il delirio del fine settimana è ormai passato e in cielo non si vede una nuvola. Parto da casa, sapendo solo che voglio arrivare a Prato Piazza e che i -10° non saranno un ostacolo.
Il gelido fondovalle che porta a Ponticello non raffredda il mio entusiasmo e decido che salirò da qui i 600 metri fino all'altopiano. Devo coprirmi scrupolosamente e ignorare il gelo che aggredisce le gambe: basteranno una decina di minuti di buon passo per farmi togliere giacca e cappello, mentre salgo di quota e il sole mi acceca con una vaga promessa di tepore. Solo qualche raro fondista mi raggiuge col suo fluido passo pattinato e io continuo a salire verso il frullo di una cincia e spicchi sempre più vasti di azzurro. Dalle conifere si staccano turbini di ice crystal, la povere di ghiaccio luccicante che la digitale non riesce a catturare, lasciando solo la magia di un ricordo.
La foresta profuma di neve e di cortecce scaldata dal sole e non c'è spazio per l'impazienza dell'arrivo: il cammino è già perfezione.
Sbuco sulla grande conca assolata senza sapere che ora sia, certa solo di essere arrivata "a casa".
Per questi spazi gli occhi non bastano e le immagini non dicono l'onda lunga di commozione che annoda la gola. Tutto è bianco, morbido e lucente. L'altopiano è un piumino meringato acceso di minuscoli bagliori e sopra la testa c'è solo cielo denso e smisurato. Continuo a camminare verso il rifugio Vallandro, faccia al sole e respiro più lento, sentendo già odore di cibi caldi e sollievo di sedere su una panca.
Lì sopra c'è lo Strudelkopf, che non è un dolce altoatesino ma il monte Specie, una modesta cupola di neve affacciata sulle Tre Cime di Lavaredo.
Un'urgenza imprevista mi spinge lassù, mentre scopro il sentiero ben battuto che non attende altro che i miei passi. Bevo e mando giù un boccone, ma non ho fame e nè sete: voglio solo continuare a camminare. Qualcuno mi precede e il cammino è dolce e senza insidie. Non sono io a camminare: è una forza pneumatica che mi solleva verso l'alto, senza sudore nè fatica. Mi chiedo se per caso ho assunto qualche farmaco, ma questo è puro doping naturale, frutto di una entusiasmo senza uguali.
Gli scenari cambiano, le prospettive si moltiplicano, ma il famoso panorama delle Tre Cime non sarà visibile fino alla fine. La croce è ormai a portata di mano e ora in cima non c'è nessuno. E' una cima modesta, solo 2300 metri, ma quel che vedo ha un sapore di ghiaccio e di calore, l'ennesima onda che attravesa il corpo senza passare per la mente.
Un'urgenza imprevista mi spinge lassù, mentre scopro il sentiero ben battuto che non attende altro che i miei passi. Bevo e mando giù un boccone, ma non ho fame e nè sete: voglio solo continuare a camminare. Qualcuno mi precede e il cammino è dolce e senza insidie. Non sono io a camminare: è una forza pneumatica che mi solleva verso l'alto, senza sudore nè fatica. Mi chiedo se per caso ho assunto qualche farmaco, ma questo è puro doping naturale, frutto di una entusiasmo senza uguali.
Gli scenari cambiano, le prospettive si moltiplicano, ma il famoso panorama delle Tre Cime non sarà visibile fino alla fine. La croce è ormai a portata di mano e ora in cima non c'è nessuno. E' una cima modesta, solo 2300 metri, ma quel che vedo ha un sapore di ghiaccio e di calore, l'ennesima onda che attravesa il corpo senza passare per la mente.
Gli occhi non bastano, non basta l'obiettivo, non basterà il ricordo.
Arriva qualcuno per poter conservare il mio sorriso e l'orgoglio di una scoperta che non potrò condividere con nessuno. Ritorno a valle di corsa, ubriaca di bianco e di blu, per lunghi traversi lungo le pendici del Picco di Vallandro e tenui sgocciolii di disgelo. Sono stanca, affamata e ustionata. Ho solo voglia di una radler e di un minestrone e di fuggire un momento dal riverbero accecante, mescolandomi per poco con la gente e confondendomi col brusio del rifugio. Non ho voglia di parlare con nessuno, ma ho bisogno di qualcuno vicino per godermi il recente privilegio della solitudine.
Torno a valle solo quando il sole comincia a cedere e la foresta innevata ingrigisce. A Ponticello non c'è più nessuno e per mezz'ora ancora mi godo l'attesa della mia stanza accogliente e di un thè caldo e di una doccia bollente, che smettono di essere ovvietà, ma ridiventano privilegi.
Gli altri sono rientrati dalle piste, giustamente orgogliosi dei loro successi.
Gli altri sono rientrati dalle piste, giustamente orgogliosi dei loro successi.
Fingo di entusiasmarmi, ma non sono capace di raccontare la mia giornata.
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