Ancora voglia di montagna, complice una gelido anticiclone di inizio autunno e il consueto prurito alle gambe. Una giornata di ferie infrasettimanale amplifica il piacere di partire, per tornare ai miei amati larici incendiati dal sole.
Ma, come spesso mi accade durante le poche ore che precedono la partenza, viro con un’ardita manovra dai fasti del lago Bordaglia all’incognita del monte Blegos, che offre come stimolo la novità (non ci sono mai andata e ho spesso snobbato la zona), ma soprattutto gli “uhuhuhu” e gli “ahahaha” della Dottoressa delle cime per le montagne di porcini che è riuscita ad accaparrarsi in poche ore la scorsa domenica.
Così, non prudono solo le gambe, ma anche le mani all’idea di affondarle nell’umido sottobosco di muschio e foglie di faggio ed estrarre come tesori i meravigliosi miceti cicciotti e profumati, pronti per essere spadellati e condivisi con gli amici più cari.
Così si parte alle 8 di mercoledì con temperature che nella vicina Slovenia si abbassano fino a 3°. Ma la verde vallata che porta a Cerkno è il consueto susseguirsi di cartoline di bucolica bellezza, accese dai colori autunnali e dal freddo cielo di ottobre.
Arriviamo in breve alla meta e, usciti dall’abitacolo, il gelo della prima mattina prende quasi alla gola, ma basta andare dietro un faggio per fare pipì che compare la prima coppia di porcini sodi e profumati, tanto per dare il benvenuto!
Lo sterrato sale dolcemente nel folto bosco, ma la mia attenzione oggi è calamitata dal tappeto di foglie ai lati della carrareccia; i pendii sono troppo ripidi per consentire qualche divagazione, cosicchè non rimane che godersi i colori accesi dei faggi e l’aria di cristallo, annusare il freddo odor di muschio e ascoltare il grido da carrucola arrugginita della ghiandaia.
Poi si arriva ad un improvvisa radura ancora verde, dove ha deciso di stabilirsi una folta colonia di amanita muscaria: saranno una cinquantina, grandi come il palmo di una mano, disposte a file, a gruppetti, o sparpagliate casualmente qua e là, macchie rosse e arancioni puntinate di bianco, belle come in una favola di Biancaneve e i sette nani.
Usciti dall’incantesimo, saliamo per sentiero in un altro bosco delle meraviglie, ma lo scopriremo davvero solo al ritorno. Anche qui non facciamo deviazioni, per raggiungere la cima il prima possibile e poi dedicarci alla caccia in discesa con meno fatica.
Nulla di monotono in questo bosco aperto e silenzioso, con le foglie dorate dei faggi che cadono al suolo, dove arrugginiscono frusciando sotto gli scarponi. A tratti si aprono fugaci visuali del Triglav imbiancato, ma le rabbiose raffiche di bora ci trasportano in un’atmosfera artica.
Il rifugio appare all’improvviso, mentre rabbrividisce sotto la forza del vento, che dilaga sul nudo crinale. Il Blegos sta proprio lì sopra, circondato da una corona di faggi contorti, segno di venti impetuosi.
Si sale a fatica controvento e tracce di recente neve ghiacciata amplificano la sensazione di essere precipitati in un gelido inverno anticipato. La cima è vasta come una prateria e spazzata da folate polari, ma offre una vista grandiosa: tutto attorno un mare di ondulazioni a perdita d’occhio, col massiccio del Triglav come una fortezza di roccia a dominare la scena, mentre le brevi vallate conservano un verde di pascoli estivi e poche manciate di case e campanili a cipolla.
Tutto ciò va visto e digerito in fretta, visto che siamo entrati nell’era glaciale, e lo stomaco brontola. Impensabile fermarsi qui per mangiare qualcosa; bisogna scendere sottovento e, bardati come alpinisti himalayani, trangugiare controvoglia un panino congelato. Non vedo l’ora di tornare nel bosco protetto dal vento e iniziare la caccia.
Basterà allontanarsi per qualche metro a lato del sentiero per dare avvio a un delirio senza precedenti: i porcini compaiono subito e basta fare pochi passi per trovarne un altro, e poi un altro, e un altro ancora. Grossi, carnosi e profumati, in una breve radura ne trovo addirittura quattro, ciascuno delle dimensioni di una grande padella e con gambi che sembrano tronchi. Dopo aver riempito due borse e lo zaino, non sappiamo più dove metterli e, visto che alcuni sembrano usciti da un congelatore, pesano come incudini. E non abbiamo neanche guardato chiodini, colombine e altre decine di specie che non conosco bene.
Ora il freddo è diventato cattivo anche qui, ma non ci faccio caso. In meno di mezz’ora abbiamo fatto una raccolta prodigiosa, ma mi accorgo di avere ormai le mani congelate. Siamo ormai alla radura di Biancaneve e le amanite se la ridono, perché i porcini spariscono, ma loro sono sempre là!
Ancora una mezz’ora di morbida carrareccia e siamo all’auto, dove la quota più bassa regala un vago tepore. Carichiamo in macchina il nostro bottino e via in pianura passando per Cepovan, attraverso un territorio selvaggio di boschi smisurati e natura sovrana.
A casa, foto ricordo della caccia grossa e poi via di padella, con la casa che profuma di rifugio alpino e tutti attorno alle pentole per assaggiare il sapore del bosco.